Come nasce un vinile

Il termine tecnico che definisce il vinile è polivinilcloruro o cloruro di polivinile, un polimero che corrisponde a ciò che comunemente chiamiamo plastica.

Questo materiale fu scelto poiché permetteva una maggiore qualità del suono, una più elevata velocità di registrazione ed una maggiore capacità di contenere informazioni (perciò una maggiore durata) rispetto al suo predecessore, la ceralacca.

Il processo di realizzazione di un vinile, come immaginerai, prevede diverse fasi. I suoni vengono inizialmente registrati da un tornio molto specifico chiamato fonoincisore su di una piastra in guttaperca o cera; alla fine di questa fase si ottiene il master.

La fase successiva è detta placcatura e consiste nel rivestire il master con cloruro di argento e stagno, che lo proteggerà dagli attacchi di agenti ossidanti, corrosivi o atmosferici, e servirà anche da conduttore di corrente per la fase ulteriore, il bagno galvanico.

Questo dura dalle 4 alle 5 ore, e forma uno strato di nichel sopra il disco: si è ora in possesso di una matrice.

Un successivo bagno galvanico è necessario per ispessire il supporto ed ottenere di conseguenza gli stampi necessari per pressare i vinili. Questo, inizialmente, è un ammasso di polivinilcloruro chiamato biscotto che viene inserito nella pressa a caldo e sottoposto a pressione insieme con le etichette circolari che poi troverai sulle rispettive facciate nella parte centrale del disco.

Visto l’uso ripetuto del disco madre per la produzione di quello in vinile, a lungo andare aumenta la possibilità che esso venga danneggiato, perciò molti ritengono che la prima stampa di un album sia di norma la migliore a livello di riproduzione del suono originale, dato che poi ogni minima variazione subita dalla morfologia del microsolco – sempre più probabile, come detto, ad ogni uso successivo della madre – è percepibile dall’orecchio del musicofilo.

Affinché un vinile duri il più a lungo possibile, è necessario seguire alcuni consigli per la sua corretta conservazione.